La Lum de Roisc

Segui anche il nostro blog!!

lavitaaroisc.blogspot.it       

potrai trovare qualche input interessante come questo: 

"Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore"

estate007

dove è la tua casa?

Per  info 

340 4118323 oppure scrivi a
info@lalumderoisc.it
www.lalumderoisc.it




Affidamento al Cuore

Immacolato di Maria.

 

Consacrazione Regina dell'Amore

I nostri Partner

 

 

 

ERO FORESTIERO… ACCOGLI LA VITA

 

 

 

VEGLIA 16.04.2014

 

Davanti a te, Gesù, cibo e bevanda di vita, accogli il nostro piccolo cuore. Ognuno di noi ha dentro un qualcosa che non permette di vedere e sentire la Vita scorrere. Molti ostacoli sembrano essere impossibili da sciogliere e molti altri ce li costruiamo noi perché vogliamo crearci da soli la vita perfetta. Abbatti queste barriere e fai scorrere quell’acqua nuova che irriga, risana, pulisce. Fai scorrere nuova vita nelle nostre vene e rendici uomini nuovi, liberi dai vizi e dalle seduzioni del mondo. 

Affidiamo tutte le nostre preoccupazioni a Maria Santissima attraverso questo santo Rosario. Lei conosce cosa abbiamo nel cuore, conosce le nostre difficoltà ma anche la nostra buona volontà e il desiderio che abbiamo di fare bene. Lasciamo a Lei la nostra vita che è stata fino ad oggi e gliela affidiamo. Che la presenti a Dio Padre affinchè la possa purificare con l’acqua e con il sangue del Sacratissimo Costato del suo amato Figlio Gesù.

 

 

COMMENTO

L’incarnazione di Cristo non è servita a Dio perché voleva provare la bellezza e la difficoltà della vita umana. Lui già sapeva. Ma la sua incarnazione è stata necessaria per noi uomini affinchè noi potessimo credere in quell’uomo, Gesù di Nazareth, che pur di vederci salvi ha scelto di morire per noi tutti. E’ stata necessaria per noi la sua incarnazione perché noi potessimo riporre la nostra fiducia in un uomo, Cristo Gesù, che ha avuto fiducia incondizionata e totale nel Padre. Perché potessimo avere un esempio reale e concreto a cui aderire con la vita. Perché avessimo qualcuno in cui riporre la nostra speranza, le nostre aspettative, la nostra delusione, la nostra sofferenza, la nostra piccolezza di uomini.

(Tratto dall’udienza generale del papa emerito Benedetto XVI  di mercoledì 9 gennaio 2013)

 « Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo » così recitiamo nel Credo. Ma che cosa significa questa parola centrale per la fede cristiana? Incarnazione deriva dal latino “incarnatio”. Sant'Ignazio di Antiochia - fine del primo secolo - e, soprattutto, sant’Ireneo hanno usato questo termine riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni, in particolare sull’espressione: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Qui la parola “carne”, secondo l'uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l'uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di “Abbà, Padre” ed essere veramente figli di Dio. Sant’Ireneo afferma: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio».

[…]”Il fatto dell’Incarnazione di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino. L’agire di Dio, infatti, non si limita alle parole, anzi potremmo dire che Egli non si accontenta di parlare, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana. Il Figlio di Dio si è fatto veramente uomo, è nato dalla Vergine Maria, in un tempo e in un luogo determinati, a Betlemme durante il regno dell’imperatore Augusto, sotto il governatore Quirino (cfrLc 2,1-2); è cresciuto in una famiglia, ha avuto degli amici, ha formato un gruppo di discepoli, ha istruito gli Apostoli per continuare la sua missione, ha terminato il corso della sua vita terrena sulla croce. Questo modo di agire di Dio è un forte stimolo ad interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico. Dio non si è fermato alle parole, ma ci ha indicato come vivere, condividendo la nostra stessa esperienza, fuorché nel peccato”. 

(Messaggio urbi et orbi del papa emerito Benedetto  XVI – Natale 2010)

“Il Verbo si fece carne”. La  luce di questa verità si manifesta a chi la accoglie con fede, perché è un  mistero d’amore. L’incarnazione del  Figlio di Dio è un avvenimento che è accaduto nella storia, ma nello stesso  tempo la oltrepassa. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un  certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede,  il “sì” del nostro cuore.
E che cosa cerca, in effetti, il nostro cuore, se  non una Verità che sia Amore? La cerca il bambino, con le sue domande, così  disarmanti e stimolanti; la cerca il giovane, bisognoso di trovare il senso  profondo della propria vita; la cercano l’uomo e la donna nella loro maturità,  per guidare e sostenere l’impegno nella famiglia e nel lavoro; la cerca la  persona anziana, per dare compimento all’esistenza terrena.

 (Dal Catechismo della Chiesa Cattolica)

« La nostra natura, malata, richiedeva d'essere guarita; decaduta, d'essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci fosse portata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un soccorritore; schiavi, un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive d'importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla nostra natura umana per visitarla, poiché l'umanità si trovava in una condizione tanto miserabile ed infelice? ».  Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio « che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1 Gv 4,10). « Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo » (1 Gv 4,14). 

Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l'amore di Dio: « In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui » (1 Gv 4,9). « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3,16).

CANTO: Verbum panis 

Disse papa Francesco nell’Angelus del 5 gennaio 2015 “il Verbo si è fatto carne: da qui deriva anche l’entusiasmo, la speranza di noi cristiani, che nella nostra povertà sappiamo di essere amati, di essere visitati, di essere accompagnati da Dio; e guardiamo al mondo e alla storia come il luogo in cui camminare insieme con Lui e tra di noi, verso i cieli nuovi e la terra nuova. Per quanto la storia umana e quella personale di ciascuno di noi possa essere segnata dalle difficoltà e dalle debolezze, la fede nell’Incarnazione ci dice che Dio è solidale con l’uomo e con la sua storia. Questa prossimità di Dio all’uomo, ad ogni uomo, ad ognuno di noi, è un dono che non tramonta mai! Lui è con noi! Lui è Dio con noi! E questa prossimità non tramonta mai. Nel mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio c’è anche un aspetto legato alla libertà umana, alla libertà di ciascuno di noi. Infatti, il Verbo di Dio pianta la sua tenda tra noi, peccatori e bisognosi di misericordia. E tutti noi dovremmo affrettarci a ricevere la grazia che Egli ci offre. Invece, continua il Vangelo di san Giovanni, «i suoi non lo hanno accolto» (v. 11). Anche noi tante volte lo rifiutiamo, preferiamo rimanere nella chiusura dei nostri errori e nell’angoscia dei nostri peccati. Ma Gesù non desiste e non smette di offrire se stesso e la sua grazia che ci salva! Gesù è paziente, Gesù sa aspettare, ci aspetta sempre. Questo è un messaggio di speranza, un messaggio di salvezza, antico e sempre nuovo. E noi siamo chiamati a testimoniare con gioia questo messaggio del Vangelo della vita, del Vangelo della luce, della speranza e dell’amore. Perché il messaggio di Gesù è questo: vita, luce, speranza, amore.”

Ma come capire meglio questo mistero dell’incarnazione? Ascoltiamo cosa dice Sant’Agostino (dal suo discorso n.119 ) riferendosi alla frase il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. “Che significa il Verbo si fece carne? L'oro si fece erba; si fece erba per essere bruciato. L'erba bruciò, ma restò l'oro; neppure nella natura di erba si consumò, ma trasfigurò l'erba. Come operò il mutamento? Lo risuscitò, lo vivificò, lo innalzò fino al cielo, gli fece prendere posto alla destra del Padre. 

Leggiamo ancora un esempio, una similitudine che Sant’Agostino propone nei suoi discorsi per spiegare come sia possibile che Dio si sia fatto uomo pur rimanendo Dio. Come è accaduto e come provare a capire la grandezza della parola che si rende carne tra la carne?

“Mi accingo ad esporre qualcosa del Verbo e forse la parola umana può in certo modo mediare qualche rassomiglianza; sebbene assai inadeguata, distanziata, senza alcun punto di raffronto. Ecco, io ho già avuto nella mia mente la parola che vi rivolgo; si è diretta fino a te e non si è allontanata da me; ha cominciato ad essere presente in te ciò che in te non era; e si è mantenuta in me nel passare a te. Allora, come la mia parola si è fatta conoscere alla tua mente senza allontanarsi dalla mia, così quel Verbo si è fatto conoscere alla nostra mente senza allontanarsi dal Padre suo. La mia parola era in me ed è uscita in voce, il Verbo di Dio era presso il Padre ed uscì in carne. Ma posso mai io fare della mia voce quello che egli poté fare della carne sua? Non posso evidentemente trattenere la mia voce che vola; egli non solo la trattenne per nascere, vivere e operare, ma, anche morta, la risuscitò ed elevò fino al Padre […]Ciò che ha mostrato nella sua carne, questo devi sperare nella tua carne. Questa è la fede, tieni per certo ciò che non vedi ancora. E' necessario che ti mantenga fedele nel credere in ciò che non vedi, per non arrossire di vergogna quando avrai visto”.

La grandezza di Dio sta nella sua semplicità. Per dare la salvezza al suo popolo sceglie di farsi se stesso carne attraverso una donna. Maria. Lei, profondamente immersa nell’amore verso Dio ha accolto un annuncio che sembrava impossibile. L’ha accettato senza comprendere, ma meditandolo nel suo cuore, e ha dato la Luce al mondo.

Aiutaci o Signore a meditare questo mistero, ad andare nella profondità della tua incarnazione, come ha fatto Maria Santissima. La tua parola, il tuo spirito che da sempre sono, hanno preso forma e si sono concretizzati nel tuo figlio Gesù. Come possiamo pensare di voler comprendere tutto di Te, oh Dio? I nostri limiti, la nostra logica servono ben a poco se non per riflettere sulla tua grandezza e il tuo amore così diverso dal nostro, così alto e così pieno. Aiutaci, attraverso la fede, ad accettare questo mistero, a meditarlo nel nostro cuore e, alla fine, ad amarlo.

CANTO: In Te

 

 

 

Da un articolo del quotidiano Avvenire:

Suore uccise in odio alla fede 

In odio alla fede. I particolari del massacro di Aden conducono a questa sola conclusione. È stata una strage decisa e attuata contro la sola presenza cristiana nello Yemen. Le suore uccise, e la cappella, il crocefisso, il tabernacolo, tutto metodicamente distrutto. 
Erano le 8,30 di venerdì mattina, e alla Mother Theresa’s house gli ottanta ospiti, vecchi e disabili, fra cui anche bambini, stavano facendo colazione. I terroristi sono arrivati davanti all’edificio, che, nonostante le minacce già ricevute dalle suore, non era difeso nemmeno da un soldato. È stato facilissimo entrare, armi in pugno, e sorprendere le quattro sorelle e il personale dell’istituto: cuoche, infermiere, volontari, sia yemeniti che etiopi, diversi dei quali cristiani. 
L’unica sopravvissuta alla strage è suor Sally, la superiora. Per un caso in quel momento si trovava in dispensa, e ha sentito l’autista che urlava, in inglese: «Nascondetevi, ci ammazzano», e poi uno sparo. […] Quando la polizia yemenita è arrivata, ha trovato sul terreno quindici morti: le suore e undici collaboratori.[…] Le sorelle – suor Annselna, 57 anni, indiana, suor Margarita, 44 anni, ruandese, suor Reginette, 32 anni, pure ruandese, e suor Judith, 41 anni, keniota – sono state colpite al volto e sfigurate, e poi uccise. […]

Nelle foto da Aden, le suore indossano ancora, sopra la veste bianca, il grembiule blu con cui servivano i malati. Uccise nell’atto di servire i poveri: è un vero martirio, quello di Aden, il secondo nel Paese, dopo che nel 1998 a Hodeidah altre tre consorelle erano state ammazzate a bastonate, mentre si recavano a far servizio in ospedale. Ma, compiuta la carneficina, gli assassini non erano ancora soddisfatti. 
Sono rientrati nell’istituto e sono andati nella cappella, dove il salesiano Tom Uzhunnalil, 57 anni, un prete che da anni condivideva l’opera delle suore, stava pregando. Raffiche di spari, ancora: molti colpi, contro il crocefisso, sull’altare, sul tabernacolo, nel quale non sono poi state trovate più le ostie consacrate. Il messale e la Bibbia sono stati ridotti in brandelli. Il salesiano è stato rapito, e ad oggi non se ne hanno più notizie. […] Nella casa sono rimasti solo gli ottanta ospiti. […]
Le suore di Madre Teresa, minacciate, avevano deciso di restare. Fedeli alle parole della fondatrice: «Vivere, e morire, con i poveri». E dalla Casa madre dell’Ordine, a Calcutta, arriva l’annuncio che le suore di Madre Teresa non abbandoneranno lo Yemen, dove hanno altre tre case, a Sanaa. Una ostinata volontà di rimanere accanto agli ultimi, che ha fatto sì che le suore siano molto amate dalla popolazione. Per loro la gente di Aden è scesa in strada, per protesta, davanti al Dipartimento della sicurezza. […] Un massacro in odio dei cristiani. Ne ha parlato il Papa, all’Angelus: «Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi, e anche dell’indifferenza». L’indifferenza, già: sabato, nessun quotidiano italiano, tranne questo e L’Osservatore Romano, aveva una sola riga in prima pagina sulla carneficina di Aden.

 

***

Dopo aver letto e ascoltato questo articolo togliamo tutto il risentimento, tutto il rancore e il puntare il dito che potrebbe assalirci nei confronti di chi ha commesso gli omicidi. Non vogliamo ripagare l’odio con l’odio, il Cristiano ragiona secondo un’altra valuta. Andando oltre la crudeltà e l’indifferenza qual è l’aspetto che dovrebbe “fare centro” nel cuore di ogni Cristiano?

Riflettiamo: abbiamo di fronte un fatto di straordinaria grandezza: 4 nostre sorelle hanno rinunciato alla vita, hanno dato la vita per i poveri in nome di Cristo. È un fatto che fa stare in un silenzio raccolto, denso di meditazione. È un fatto che fa lodare Dio e che Lo glorifica. La nostra lode e il nostro grazie per questa grande testimonianza di coraggio, di fede, di vero amore che porta speranza, dovrebbe salire fino a bussare alle porte del Cielo. C’è ancora chi ama così tanto da donare la propria vita! C’è ancora chi segue passo passo le orme di Gesù sulla via difficile e dolorosa della Croce, che però svela la Resurrezione. La stessa Risurrezione che dovremmo avvertire nei nostri cuori ascoltando la storia di queste quattro martiri! Suor Annselna, suor Margherita, suor Reginette e suor Judith dovrebbero aver lasciato un solco profondo nella nostra coscienza, nella nostra vita. Un solco pronto a ricevere il seme, l’acqua e il sole per dare frutto. 

Ecco detta la ricetta: Ricevere per dare. Accogliere per dare. Questa è la ricetta che ha portato le nostre sorelle a dare la vita. Loro hanno accolto il dono della loro vita, hanno accolto la loro vocazione, hanno accolto la loro missione, hanno accolto le malattie, i dolori, le piaghe degli infermi che gli sono stati donati. Hanno accolto tutto ciò perché in tutto vedevano Cristo. Vedevano in tanti corpi mal messi, mutilati, sofferenti, il corpo di Gesù crocifisso. E dopo aver accolto tutto ciò, dopo essersi rese conto dell’Amore di Cristo che le circondava ogni giorno tramite le voci imploranti dei malati, cosa potevano fare se non ricambiarLo? Quando nel cuore si ha davvero radicata la consapevolezza dell’Amore di Cristo per ognuno di noi si riceve fiducia totale e dalla fiducia il coraggio, e con il coraggio che viene da Dio si fanno grandi cose. Ce l’hanno dimostrato loro, quattro piccole, fragili donne, serve di Dio.

E noi? Abbiamo coraggio? O siamo indifferenti come i nostri Paesi? Non per forza bisogna essere uccisi per testimoniare. Se cercassimo di lottare ogni volta che la paura di perdere il nostro quieto vivere ci stringe lo stomaco e imparassimo ogni giorno a morire un po’ a noi stessi, vedremo miracoli. Non è facile perché abbiamo paura, perché abbiamo poca fede. Basti pensare solo alle volte che non ci facciamo il segno della croce prima di un pasto quando siamo a mangiare fuori perché “non è il caso” per capire la nostra piccolezza, la nostra sfiducia e paura.

Ecco noi questa sera vogliamo mettere tutta la nostra paura su questo altare, nelle mani del Padre. Gli chiediamo per intercessione di Suor Annselna, suor Margherita, suor Reginette e suor Judith di accogliere prima, e donare poi, tutta la nostra vita per amor suo, per lodarLo, ringraziarLo, glorificarLo.

 

CANTO: Offerta di vita

 

 

La vita che ci circonda: l’ambiente che ci parla di vita. Le scelte ecologiche

E Dio vide che era cosa buona. (Gn 1,25)

Viviamo in una valle meravigliosa, basta volgere lo sguardo un attimo fuori dalla finestra e si rimane abbagliati dal creato che ci circonda. I monti, i boschi, l’acqua, i prati … tutto ci parla di vita. 

Leggiamo dall’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco: 

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

San Giovanni Paolo II si è occupato di questo tema con un interesse crescente. Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere umano sembra «non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo». Successivamente invitò ad una conversione ecologica globale. Ma nello stesso tempo fece notare che si mette poco impegno per «salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ecologia umana». La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e «tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato». Pertanto, la capacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. 

Il mio predecessore Benedetto XVI ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana». Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che «l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura». Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta compromessa «dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi».

Sì spesso ci sentiamo dei superman, ci sentiamo il centro del mondo, come se il mondo senza di noi non può andare avanti. Ci sentiamo padroni della vita, in grado di dare e togliere vita a nostra piacimento. E non ci rendiamo conto che siamo solo di passaggio in questo mondo, siamo dei forestieri in cammino verso l’eternità. Teniamo presente però che ogni nostra azione ricadrà sulla vita dei nostri figli, dei nostri nipoti, delle generazioni dopo di noi.

Scrive ancora Papa Francesco che:

Il Patriarca Bartolomeo si è riferito particolarmente alla necessità che ognuno si penta del proprio modo di maltrattare il pianeta, perché «nella misura in cui tutti noi causiamo piccoli danni ecologici», siamo chiamati a riconoscere «il nostro apporto, piccolo o grande, allo stravolgimento e alla distruzione dell’ambiente». Su questo punto, egli si è espresso ripetutamente in maniera ferma e stimolante, invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione: «Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati». Perché «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio».

Allo stesso tempo Bartolomeo ha richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. È liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza». Noi cristiani, inoltre, siamo chiamati ad «accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. È nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta».

San Francesco è il santo patrono di tutti coloro che lavorano e studiano nel campo dell’ecologia. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione». La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. 

D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode.

 

CANTO: Sono qui a lodarti

 

 

Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale.

«i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi»: la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana. Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro.

Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cui presenza «non deve essere costruita, ma scoperta e svelata».

Stiamo parlando di un atteggiamento del cuore, che vive tutto con serena attenzione, che sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò che viene dopo, che si consegna ad ogni momento come dono divino da vivere in pienezza. Gesù ci insegnava questo atteggiamento quando ci invitava a guardare i gigli del campo e gli uccelli del cielo, o quando, alla presenza di un uomo in ricerca, «fissò lo sguardo su di lui» e «lo amò» (Mc 10,21). Lui sì che sapeva stare pienamente presente davanti ad ogni essere umano e davanti ad ogni creatura, e così ci ha mostrato una via per superare l’ansietà malata che ci rende superficiali, aggressivi e consumisti sfrenati.

Un’espressione di questo atteggiamento è fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti. Propongo ai credenti che riprendano questa preziosa abitudine e la vivano con profondità. Tale momento della benedizione, anche se molto breve, ci ricorda il nostro dipendere da Dio per la vita, fortifica il nostro senso di gratitudine per i doni della creazione, è riconoscente verso quelli che con il loro lavoro forniscono questi beni, e rafforza la solidarietà con i più bisognosi.

La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Dice un Padre della Chiesa che “per gli amici bisogna pregare, per i nemici bisogna morire”. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternità universale.

Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente.

L’esempio di santa Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma.”

Chiediamo l’intercessione di santa Teresa di Lisieux e di san Francesco d’Assisi perché ci aiutino a portare l’amore in ogni luogo in cui siamo chiamati a vivere ogni giorno, ogni momento. Non abbiamo paura di difendere la vita, di riconoscere la presenza di Dio in tutto il creato e a lodarlo e a ringraziarlo per tutto ciò che abbiamo ricevuto. 

 

CANTO: Creati per Te

 

 

Ti vogliamo ringraziare Padre per il dono dell’Eucaristia, Gesù vivo e presente qui davanti a noi. Scrive ancora Papa Francesco che: “Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo». L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso». Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato.”.

Chiediamo anche l’intercessione della nostra Mamma Celeste, Regina del Creato, perché ci insegni a guardare il mondo con occhi sapienti, perché possiamo riconoscere in ogni creatura la presenza di Dio, per costruire insieme la civiltà dell’amore. Non abbiamo paura di parlare di Gesù, di testimoniare con la vita ciò in cui crediamo, di accogliere la vita per donare la vita, senza paura, come ci insegna la nostra Mamma del Cielo.

 

 

COMUNITA'

FIGLI DEL SACRO CUORE DI GESU'

EVENTO IMPORTANTE

11.06.2017

http://figlidelsacrocuore.it/

PRIMI VOTI PRONUNCIATI DA GLORIA MEDEI

PER ENTRARE NELLA COMUNITA' DEI CONSACRATI

FIGLI E FIGLIE DEL SACRO CUORE DI GESU'.

Il suo nuovo nome è Gloria, Gioia della Croce

Only Light

Comunicare, esprimere, trasmettere... noi siamo pronti e voi?

Passa a trovarci nel nuovo negozio di Soraga!

Light & Joy

Scopri anche tu il piccolo mondo di Light and Joy!

www.lightandjoy.eu

Fassa a Parte

 

Per le tue vacanze in Val di Fassa: 
www.fassaaparte.it